Il giudice  disponendo l’affidamento condiviso,  ha inteso assicurare ai minori la possibilità di mantenere con entrambi i genitori legami il più possibile simili a quelli propri del rapporto genitori/figli nella fisiologia della convivenza familiare. Affidamento condiviso, tuttavia non significa prosecuzione della convivenza dei figli con entrambi i genitori. Anche nel caso in cui venga stabilito il regime dell’affidamento condiviso sarà necessario individuare presso quale genitore il minore dovrà essere collocato in via preferenziale,  ovvero dove avrà la propria  “residenza privilegiata”.  Detta modalità di affidamento ha –  come già abbiamo detto -, l’obiettivo di consentire ad entrambi i genitori di conservare anche successivamente ad una separazione coniugale,  una identica responsabilità e compartecipazione alla quotidianità dei figli, mentre la collocazione della prole presso l’uno o l’altro genitore rappresenta il mero riflesso di una esigenza pratica discendente proprio dalla separazione.

Come è stato affermato in precedenza, l’art. 155 c.c. prevede che il giudice nel determinare i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”. In questo modo viene dunque sancito il criterio dell’accordo dei genitori, di cui il giudice dovrà prioritariamente tenere conto.  In ogni caso l’accordo dei genitori non potrà prescindere dalla individuazione di un genitore di preferenza collocatario, ancorchè rimane nella facoltà delle parti la scelta di un ampio regime di visita in favore del genitore non collocatario, che potrebbe anche concretarsi anche nella previsione di una alternanza paritaria dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore, purchè detta scelta risulti agevolmente realizzabile e non contraria all’interesse dei figli.

Comunque in assenza di un accordo della coppia, sarà il giudice a stabilire quale dovrà essere il genitore collocatario,  per l’individuazione del quale non potrà perdere di vista alcuni presupposti:  l’età del minore,  la necessità di preservare allo stesso la continuità con la figura genitoriale di maggiore riferimento in termini di presenza e di quotidiano accadimento,  dello spirito di collaborazione e disponibilità di ciascun genitore al riconoscimento dell’importanza della figura dell’altro genitore nella vita del minore. (Cass. 10.10.08, n. 24907; Trib. Pisa 24.01.08).

L’individuazione del genitore collocatario nella prassi coincide,  nella maggior parte dei casi, con il genitore assegnatario della casa coniugale,  poiché la legge 54/2006, coerentemente con l’esigenza di favorire, in caso di disgregazione della comunità familiare, l’affidamento dei figli a entrambi i genitori, ha introdotto la nuova regola generale secondo la quale  “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Pertanto  dottrina e giurisprudenza sono concordi nel cercare di conservare a favore della prole l’habitat domestico,  inteso come centro di affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. (Cass. 13.02.06, n. 3030; Cass.n. 22210/2009). L’assegnazione della casa familiare deve quindi soddisfare in primo luogo, l’esigenza “di evitare al figli minorenni o anche maggiorenni tuttora non economicamente autosufficienti non per propria colpa, l’ulteriore trauma di un allontanamento dall’abituale ambiente di vita e di aggregazione dei sentimenti” (Cass., Sez. Unite 26.07.02, n. 11096).

Da un punto di vista psicologico si puntualizza che : “le ragioni alla base di tale connotazione dell’interesse del minore sono da ricercarsi principalmente negli studi e nelle ricerche di matrice psicologica in ordine al significato e al valore della casa per i figli nell’ambito delle vicende separatizie.  Nel momento in cui la crisi tra i partner destabilizza i figli,  a causa della trasformazione del vissuto dei legami familiari e della perdita dell’immagine della coppia genitoriale, è infatti indispensabile non modificare completamente tutta la sua vita. Proprio in questo momento,  secondo una analisi di stampo psicologico, occorre mantenere al figlio la casa in quanto il trasferimento in altro luogo potrebbe accrescere angosce di perdita e di vuoto, già innescate dal trauma della separazione genitoriale. La casa,  intesa come “spazio vissuto”,  rappresenta,  soprattutto per i figli nelle vicende separatizie , il conosciuto contrapposto all’ignoto, il massimo della sicurezza spaziale, significa appartenenza, è il luogo posseduto dove i figli si strutturano e si riconoscono come esseri umani: in sintesi, il senso fondamentale di “casa” fa parte del substrato dell’identità stessa dei figli”.